È probabile, ma non scontato, che, nella voracia con cui ha ingoiato riviste e pieghevoli, deglutito documentari da edicola, macinato opinioni e ipotesi altrui qua e là nella Rete, l’Italiano – sia esso gitante semplice o Grande Avventuriero, studente di lingue vikinghe o ricercatore in fuga dalla nostrana indigenza –, alla vigilia della sua partenza per la Svezia, possa essersi imbattuto nell’opera dell’onesto Luigi Scattini, Svezia, Inferno e Paradiso: ebbene, mai titolo fu più azzeccato, perché la Svezia è proprio questo, un Paradiso e un Inferno...

giovedì 27 settembre 2007

Costume I - Lo Stallone e l'Esarca



   «Vero stallone da monta si offre a coppie con lui sottomesso e lei vera troia in calore da soddisfare». Oppure: «38, 181, 75, 19 cm, bel tipo classico-giovanile. Cerco slave porc. disinibit. passivo tra 18-45 anni in forma (in jeans) per sborr. senza menate in gola con ing., scop., piss, annusare calzini e piedi, pop., ecc.., anche in posti anonimi». Oppure: «34enne magro, maschile insospettabile cerca cagatori feeders in zona *** per farsi cagare in faccia e in bocca (con ingoio parziale e/o totale, ma cio' dipendera' dalla situazione).Gradite lunghe sessione x leccare il culo anche con sgabello senza fondo/rimchair. Se c'è feeling anche pasto giornaliero x nutrimento a stomaco vuoto abitualmente non ospito. Oltre alla merda, se richiesto, anche situazioni sm con insulti pesantissimi, fustigazione rituale (schiena/culo/gambe) con pause e gradualità, pioggia dorata, sputi e altre pratiche disciplinari. Ma io cerco principalmente merda e adorazione del culo. Graditi (ma non indispensabili) robusti e calvi». O ancora: «19enne fidanzata cerca donna esperta per iniziazione all’amore saffico».
   La disamina degli appelli, dei bandi e dei proclama che affollano le bacheche del fantasma erotico italiano rivela un consorzio umano variopinto, molteplice, inquietante quanto sotterraneo. I registri spaziano con disinvoltura dal grottesco al sublime (una signora di Milano tiene a precisare il proprio amore per l’architettura copta, per la lirica provenzale e per la teologia negativa prima di dichiararsi «maiala da monta» in ansia di «spompinare»); gli stili, dal letterario, di matrice per lo più libertina, al telegrafico e al curricolare; il palato, in base all’esperienza del postulante, più o meno fino – dal semplice incontro piacevole all’irrorazione di un piede misura 41. Assai comune è l’uso di metafore attinte all’universo zoologico (equino, bovino e suino in ispecie) o meccanico (attrezzi da perforazione e demolizione), e dell’ostentazione della professione a garanzia della prestazione («ingegnere 38enne», «avvocato divorziato», ma giammai «netturbino 42enne» o «aitante pony-express»). Tale versicolore moltitudine è – ahinoi! – confinata, in Patria, nei sottoscala della Rete, nei retrobottega del lecito, nell’inoperosità notturna delle zone industriali come nelle modeste latrine delle aree di servizio. Impossibilitati ad emergere, ad organizzarsi in gratuita comunità, gli incalliti del concordato amoroso debbono contentarsi delle vie effimere in cui la generale disattenzione li confina. Da commosso lettore di Leopoldo Masoch, ho sempre nutrito una schietta simpatia per l’amor contrattuale, e provo gran pena per le tribolazioni cui il cittadino è sottoposto qualora voglia trovare leggitima soddisfazione al proprio eteroclito desiderio; essendovi poi nel Bel Paese innumeri smaliziati furbastri, pronti a convertire in facile lucro ciò che più d’ogni cosa dovrebbe spettare come bene inalienabile, diventa solare l’inaffidabilità di gran parte delle fonti, e sempre lecito il sospetto!
   Ora, essendomi io trasferito in un Paese – a detta dei più – civile, non posso fare a meno di segnalare un’iniziativa che, per mole, efficienza e credibilità, prende la forma di uno dei tanti servizi al cittadino che hanno reso famoso il modello svedese. Perché ciò che è gratuito (sic!), centrale, distribuito sul territorio e a tutti accessibile non può essere chiamato altrimenti. È il Klubb6, il cui nome non deve fuorviare: trattasi non di un gaudente esarcato, ma dello spensierato dopolavoro di una intera nazione (il numero 6 in svedese è sex). Qui la letteratura da vespasiano non ha ragione d’essere: come nei più diffusi siti di amicizie, si sceglie un’identità, la si supporta di un’immagine e di una presentazione; non v’è bisogno di specificare ciò che più si ama ingerire o quanti giorni debba essere portato un indumento affinché ottenga l’effetto desiderato: un formulario permette ad ogni iscritto di barrare le caselle che più si avvicinano al proprio fantasma (il semplice orientamento sessuale, la disponibilità telematico-audiovisiva, le categorie-madre delle pratiche amorose, senza entrare nello specifico patologico, e, infine, la presenza di tatuaggi e piercing lungo il proprio corpo), mentre la grande eloquenza è affidata alle immagini, che si possono proporre in quantità imprecisate, e ai filmati, alcuni dei quali veri gioiellini di mise en scène. Le poche righe di presentazione vengono spesso spese per parlare di sé, più che per circoscrivere le proprie passioni: «mi piace il mare», «i Duran Duran», «sono allegra, curiosa», poi citano una canzonetta, una frase fatta, tanto a che serve parlare troppo quando – chi per guardare, chi per parlare, chi per incontrare – ci si trova tutti nel Cenacolo della Concupiscenza? Come dire, al Circolo degli Amanti del Sigaro mica si parla solo di humidor, di Ammezzato Garibaldi o di Vegas Robaina; si cerca di fare amicizia tra persone di pallino comune.
   L’atmosfera del Klubb6 è giocosa, distesa. Capita di vederne delle belle: un bianchiccio ragioniere a cui non si darebbero due lire fornica, mascherato di vinile, con due proterve valchirie, una signora un po’ avanti con gli anni si passa lo smalto nero alle unghie dei piedi; un’aerea diciottenne non perde l’occasione di mostrare come l’ottavo mese di gravidanza non significhi privarsi della spensierata giovinezza; non mancano però le mascherate e i giochi di ruolo più scontati, e in genere i maschietti sono i meno fantasiosi (migliaia di foto di soli apparati, tutti di poco dissimili l’uno dall’altro). A che pro parlare di questo che io considero un servizio, in questo blog? A beneficio del Turista, naturalmente! Mi capita, passeggiando la notte per le vie della città, all’ora di chiusura dei bar, specie se in serate poco movimentate (in Svezia i giorni di bisboccia sono il mercoledì – che è chiamato lilla lördag, piccolo sabato –, il venerdì e il sabato), di incrociare esigue comitive di Italiani, ubriachi e afflitti dalla mancata conquista, impossibilitati a proseguire la serata altrove e ancora così desiderosi di fraternizzare con una qualche biondina indigena; provo allora un sincero intenerimento per questi avventurieri dal sogno infranto. Perché, va detto, se in Svezia la sessualità è un po’ più scapigliata che in Italia, non significa che le magnifiche fanciulle di qui stiano esattamente aspettando la venuta del Fauno nostrano, che spesso non mastica nemmeno quel minimo di inglese che la situazione richiederebbe. Gli Italiani commettono spesso un errore grossolano: vengono a gruppi di quattro, cinque, e quando sono soli o in due – in nome dell’italica fratellanza – fanno gruppo all’ostello con altri Italiani: e l’esito dell’impresa va subito a monte, si passerà la serata ad indicare, comparare e soppesare caviglie, glutei, pere, meloni ed arsenali vari, e ad esortare a «tenere alta l’asta del vessillo tricolore». Inoltre, per atavico feticismo del centro storico, essi amano aggirarsi per Gamla Stan, la città vecchia (in realtà uno dei luoghi meno interessanti della città, e assolutamente a bassissima percentuale di svedesi), quando i veri luoghi della notte si trovano sparpagliati per altri più moderni quartieri. A fine serata sarà nella maggior parte dei casi rimasto il portafogli vuoto, il ricordo di qualche fugace scambio di parole, e la speranza di un giorno migliore.
   Mio caro anelante Turista, spero vivamente di averLe qui reso piccolo ed umile servigio! Mi auguro che qualora Ella volesse, con ribaldi propositi, approdare in terra di Svezia, non Si lasci, come aveva vagheggiato, trascinare da un incerto caso, ma, da persona avvertita e risoluta – come confido Ella sia –, armato di vocabolarietto, entri a far parte dell’allegro Klubb6!

mercoledì 26 settembre 2007

Intermezzo - Il bello della diretta

Per gli amanti della pratica del puking, ecco quanto è successo qualche notte fa sul quarto canale della televisione svedese... Protagonista la simpatica Eva Nazemson, conduttrice del programma Nattliv (vita notturna).

giovedì 20 settembre 2007

Gastronomia I - Gli accidenti dell’aringa fermentata



  Forse la Prudenza – se non l’avessi gettata dal finestrino nei pressi del confine austriaco alla mia partenza per la Svezia, sette mesi fa – mi avrebbe potuto suggerire di esordire queste mie cronachette svedesi sciorinando una qualche locale meraviglia; ma, da che non sento più il suo fiato sul collo, amo prendermi certe libertà. Nell’immagine qui sopra è una latta di Surströmming, una specialità, se così vogliamo chiamarla, del grande Nord svedese. Pecca di ingenuità chi si adagia sulla facile equazione “Nord uguale a salmone”: nelle acque suebiche v’è un solo re, lo Strömming o aringa del Baltico. Questo pesce, ben più delizioso del suo cugino atlantico, proposto sino allo sfinimento in ogni menù che voglia dirsi svedese – marinate all’aceto, alla senape, alla crema di acciughe, al limone, fritte nel burro, infornate, grigliate, ripiene, in tortino... (tipico del buffé natalizio è un intero tavolo di sole aringhe, baltiche e non, proposte nei modi più disparati) –, e ancora troppo grassoccio perché il palato mediterraneo se ne raccapezzi (non si sposa affatto col pomodoro, con l’olio d’oliva!), trova, nelle terre del Norrland, la sua ideale collocazione in migliaia e migliaia di queste latte. E, ahimè, raggiunge gli scaffali dei generi alimentari di tutto il Paese. Le aringhe, pescate in primavera, vengono immerse in barili di salamoia per un paio di mesi, previa decapitazione; la fermentazione prosegue poi nelle latte. In onore dei tempi, non così lontani, in cui la Svezia era un Paese poverissimo, il sale si usa ancora con commovente parsimonia: quanto basta perché il pesce non imputridisca; se la corruzione delle carni è così scongiurata, ben altri accidenti rendono l’apertura di una latta di Surströmming quanto meno problematica.
   A partire dalla sua commercializzazione, il terzo giovedì di agosto, si può notare, passando quotidianamente dallo scaffale del pesce di un qualsisasi supermercato, una progressiva e minacciosa ovalizzazione delle latte. Tanto minacciosa che la presenza di queste latte a bordo di un qualsiasi aereo di linea, mai veramente gradita, è al giorno d’oggi severamente bandita: il turista che volesse a tutti i costi provarne, dovrà contentarsi di consumarne in loco, e di raccontarne soltanto ai suoi cari, se questi saranno disposti a credere ad una storiella così agghiacciante. Ciò che succede all’interno della latta, sarebbe cosa da non dirsi, ma non resisto: i batteri della fermentazione producono anidride carbonica (mai simpatica da respirare) e tutta una serie di indegne porcherie che farebbero la gioia di quella specie di bambini cattivi, monelli, disadattati che non trovano di meglio che perseguitare il prossimo: l’acido propionico (sudore umano, pesticidi), l’acido solfidrico (quello che puzza di uova marce, il cui fetore è in grado di annientare il nervo olfattivo, o quanto meno provoca tosse, confusione, perdita di appetito), l’acido butirrico (vomito) e l’acido acetico. Ed ecco perché un tale ordigno è per sempre bandito dai cieli: un paio di casi di perdite del liquame a bordo di aerei di linea sono bastati per scongiurarne ogni futuro traffico, le spese di pulizia essendo state più che onerose. Il divieto assoluto come unico scampo ad una ennesima tassa sull’aringa fermentata per tutti i voli dalla Svezia. Un avveduto liceale nostrano piangerà il provvedimento: al ritorno dalla ilare gita scolastica, non potrà più, al negozietto dell’aeroporto, infilare nello zaino con ghigno beffardo una di queste temibili latte, la cui apertura avrebbe salvato per l’imminente verifica di matematica: poche gocce di salamoia sui muri, sotto i banchi, sul registro, e la classe sarebbe stata immantinente evacuata, e sull’edificio intero sarebbero stati posti i sigilli di ASL e Questura...
   Per quanto riguarda la mia poco decorosa esperienza, posso dire di essere stato avvisato. Gli Svedesi della Svealand e della Götaland (del Centro e del Sud, per intendeci) me ne avevano narrato a sufficienza gli orrori: pesce marcio, fetente, un vero cesso. Se non sono stato così accorto da dare loro troppo spago, e per pura spocchia mi sono lanciato nella degustazione, ho almeno avuto l’umiltà di seguire un consiglio, datomi in amicale sincerità: assolutamente mai aprire una latta di Surströmming in casa! Le stesse forze oscure che tendono la scatola metallica fino all’ovalizzazione, oltre a liberare il deprecabile fetore di cui sopra, possono, al momento dell’apertura, sgorgare in una rosastra fontana di putrido liquame, annaffiando voi e tutti gli invitati, ma quel che è peggio, lasciando sulle pareti domestiche l’indelebile marca del loro passaggio. Per capirci, aprire una latta di aringa fermentata richiede le stesse precauzioni che aprire una birra che vi sia caduta dall’ottavo piano. Descriverò ora come è uso comsumare tale prelibatezza. Mio alleato nel cimento è stato l’amico
Scampaforche, venutomi a visitare con tanto di compagna per qualche giorno qui a Nacka. Ardito buongustaio, non si è sottratto all’impresa, nonostante ne conoscesse i perigli. Per prima cosa, praticare con l’apriscatole un foro minuscolo in direzione opposta alla vostra, dando le spalle ai commensali; lasciare sfiatare per un minuto circa, resistendo alla tentazione di inalare (ricordate il nervo olfattivo!). A questo punto incidere con convinzione la latta e lavorare di apriscatole: dopo pochi secondi il miasma avrà già messo a dura prova il vostro intestino e la vostra motivazione. Dopo queste tribolazioni, sollevare il coperchio: nessuna piacevole visione (se non vi siete sballati di acido solfidrico) verrà a consolare l’onesto sforzo: il pesce si intravvede appena, sepolto in una atroce palude stigia. Con una forchetta, sollevare un pesce dalla coda (fare attenzione a non spalmarsi le budella penzolanti sui calzoni) e riporre su un tagliere, o meglio su di un piatto che non utilizzerete mai più; aprire l’esemplare, pulire, sfilettare e fare a pezzetti molto piccoli – delle dimensioni del vostro coraggio, per intenderci. Per la degustazione saranno state bollite patate novelle (mandelpotatisar, le patate allungate, “a forma di mandorla”), tagliate cipolle rosse a cubetti, preparata della crema acida (gräddfil) per “sciacquare” la bocca, birra fresca ed acquavite. Aringa, cipolla e patata tagliata a tocchetti verranno messi qua e là su del tunnbröd, una specie di piadina del Norrland. Per quanto riguarda il gusto, non è così indecente: un generico sapore di pesce crudo e mare. Non troppo dissimile dal mio grande amore, l’acciuga sotto sale. Il problema è l’odore. Provate a pensare alle amenità olfattive di cui ho parlato, fuoriuscire dalla vostra bocca. Nè la crema acida, nè l’acquavite vi salveranno dalla più spaventosa alitosi della vostra vita, un piccolo e inenarrabile Armageddon dentro di voi. Pensate ora ad una di quelle meravigliose ragazze del Norrland, altissime, biondissime, giunoniche: un invito al bacio. Pensatele al termine di questo sereno spuntino...
   Se spero di non avervi rovinato l’immagine della donna nordica (che, non è detto vada ghiotta di aringhe fermentate), spero di avervi avvertito dei pericoli dello Surströmming. Non è quindi il caso di fare gli spavaldi: se qualcuno vi invitasse a provarne, declinate con garbo. Se non siete vikinghi, non potrete capire. Il vicino del piano di sopra, sceso in cortile verso il nostro banchetto, ci spiega: non è una prelibatezza, è una tradizione (lui ne va ghiotto, ma è scusato, ha la mamma del Norrland). Resta da chiedersi come facciano, lassù, i conti con tanto lezzo. Sarà per antica sapienza, sarà per ripetuto ed endemico incidente, ma mi viene il sospetto che un buon modo per affrontare una simile pietanza sia di amicarsi l’acido solfidrico, e abdicare una volta per sempre l’olfatto.